A Giovanni che mi vuole bene

Questo libro va letto di notte. Molti libri, in genere i più belli, quelli più evocativi, vanno letti di notte, forse perché se non furono scritti, di certo furono immaginati di notte. Di notte è più facile penetrare immaginari propri e altrui. Nel silenzio della sua casa, Giovanni Gasbarrini ha saputo evocare i tanti esseri umani che ebbero un ruolo significativo nella sua straordinaria vicenda umana. Attraverso quel suo sguardo speciale, quel suo tono di voce mai rassegnato, che gli ha permesso di vedere la bellezza in tutto ciò che lo circonda, ci rendiconta la sua vita cogliendone il fulgore. Trasmettendoci quella sua inestinguibile euforia, contagiosissima, dagli effetti salutari inconfutabili. L'ho sperimentato su me stesso.

Non so se Giovanni nello scrivere queste sue memorie abbia ricordato il magnifico film di Ingmar Bergman, Il posto delle fragole. I più o non lo hanno visto o l'hanno dimenticato. Di questi tempi, quando mi trovo a parlare in pubblico della mia bislacca professione, avverto il dovere morale, lo stesso che ha avvertito Giovanni, di dire che cosa sia la vita. Lui e io siamo quasi coetanei, una differenza di un paio di anni, e le nostre adolescenze e le nostre giovinezze si sono svolte (per lui solo in parte) in quella città così capace di affetto che è stata Bologna.

A ridosso degli ottant'anni è finalmente giunto il momento di parlare di ciò che si sa, della materia che più abbiamo studiato, analizzato, patito e gioito, illustrare insomma a chi ne ha consumato solo una parte, come sia fatta una vita.

In questi miei incontri racconto così l'elisse che ha percorso la nostra navicella, dal momento remoto della nascita, (quella stagione meravigliosa che fu l'infanzia in cui avvertimmo di poter credere che ciò che amavamo potesse durare per sempre) per poi descrivere le varie stagioni, la giovinezza, l'età adulta, zavorrate da quella ragionevolezza che ci allontana sempre più dallo sfolgorio dei nostri sogni, fino a quel momento che nella cultura contadina viene definito lo scollinamento. Quel momento in cui (Proust) non sappiamo più guardare la nostra vita nella prospettiva di un futuro fatto di traguardi straordinari, ma raggiunta la vetta ci tocca di affrontare l'altra parte, quella in ombra del percorso. E il futuro diventa più difficile da immaginare mentre via via si fa largo il passato. Ci rifugiamo sempre più convinti nel ricordo, nel ricordo della nostra giovinezza.

Ma siamo ancora nell'età matura, non siamo ancora penetrati nell'ultima età, quella che non ha un dopo. Un'età paurosa e tuttavia affascinante. Ci sono entrato da pochi anni e so quanto alla nostalgia della mia giovinezza si sia andata a sostituire una nostalgia nuova, quella della mia infanzia. Ecco Giovanni (come Bergman) intravedere quel lettone di suo padre e di sua madre sul quale si arrampica, ponendosi al centro nel pieno del loro tepore. Rinunciando ai tanti ruoli, alle tante responsabilità che la vita gli ha imposto, tornando a essere figlio.

Dopo aver letto queste pagine così intime, la sua amicizia mi inorgoglisce e mi commuove.

Pupi Avati