IN PRINCIPIO ERA IL PRESEPE
Nasceva al volgere di quei terribili anni quaranta, quasi condizione serenativa e spiritualmente necessitata la rievocazione artistica della Sacra Natività a Rivisondoli, ideata dal giornalista Renato Caniglia, rivisondolese di origine trapiantato a Roma, e sostenuta con determinazione dal gruppo “storico” di amici, abituali del leggendario Hotel Impero: Emidio Romito, Gaudenzio Caniglia, Manfredi Jarussi, Enrico Romito, Vittorio Ferrara con il sindaco dell'epoca Tolmino Jarussi.
Appare consona e giustificata l'enfasi con la quale Don Antonio Pintori, nelle sue memorie sul Presepe, richiamava alla mente l'atmosfera quasi di metafisica diafania che si era creata, empatica fra gli uomini e i luoghi, in quel lontano 1949 quando proprio Renato Caniglia, primo fra tutti, colse in maniera originale l'idea di organizzare la rievocazione, assunta subito e unanimemente da quella comunità tuttora spaurita ma vitale come un vero “progetto di resurrezione”. Era infatti “… una sera nella quale vibrava un alito di speranza alla rinascita delle forze vive della montagna: quelle forze disperse dalla tormenta della guerra e che si ritrovarono sotto i tetti appena ricostruiti…” La manifestazione vedeva la luce il 6 gennaio del 1951, ottimizzata scenograficamente nelle vie cittadine e lungo la scalinata davanti la chiesa madre (“… dove ogni scalino é un sospiro…”),
prima di trasferirsi per le edizioni successive in località Piè Lucente, al limitare della piana antistante il paese che slarga verso occidente. Nel mentre é innegabile lo sforzo ideativo teso, negli intenti di quella brigata di giovani amici, ad esaltare della iniziativa i contenuti di fede, etica e costume (e cercare parallelamente quella riferita, ideale sintesi tra “elemento cristiano e elemento artistico”) é altrettanto evidente che insisteva nei fatti una condizione intima, individuale e collettiva, di provvisorietà materiale e soprattutto emotiva. Condizione questa che era tuttavia chiamata a sovrintendere obbligatoriamente una ricerca di elementi esterni significativi ma di lessico elementare, e al contempo dichiaratamente tesa ad un naturale e più generico consolidamento di aspirazioni e memorie, di sentimento e fede in un momento in cui l'immane crudezza della guerra lasciava sul terreno morti e macerie ma proponeva anche la sfida esaltante della ricostruzione materiale e alimentava, seppure negli echi della tragedia, l'alveo teologale della speranza.